
Glossario femminista: definiamo il Patriarcato
Cellulite
Benvenute al nostro appuntamento con il GLOSSARIO FEMMINISTA: DEFINIAMO IL PATRIARCATO.
Oggi parliamo di CELLULITE.
Sì, so cosa starete pensando. Quale nesso potrà mai esserci, dopotutto, tra la lotta per i diritti delle donne ed un argomento apparentemente irrilevante come la famigerata «pelle a buccia d’arancia»?. Vi assicuriamo che se avrete pazienza di leggere questo testo, capirete che in realtà, tutto ciò che all’apparenza potrebbe sembrarvi insignificante non è altro che il prodotto millenario di una cultura patriarcale, ancorata a dei retaggi e stereotipi fortemente invalidanti per la lotta per l’emancipazione femminile.
In primo luogo é importante dare una piccola delucidazione: la cellulite non è reale. O meglio, esiste un tessuto adiposo sotto la nostra pelle, sta di fatto che nella maggior parte dei corpi umani, vi sono aree dove essa appare irregolare e con delle fossette. Tuttavia, fino a qualche decennio fa non esisteva un termine per definire tutto ciò, perché “tutto ciò” non era nemmeno qualcosa. In Italia, cinquanta anni fa, nessuno aveva mai sentito parlare di cellulite, né tanto meno l’aveva mai identificata come un problema da cui liberarsi o per il quale uscire fuori di senno. Oggi spendiamo addirittura milioni – se non miliardi– per trattamenti anti-cellulite, nonostante la palese assenza di efficacia. E questo ha perfettamente senso, ovviamente, perché non si può trattare una condizione che non esiste.
LA VERA STORIA DELLA CELLULITE.
Nell’aprile del 1968, Vogue fu il primo giornale in lingua inglese a diffondere il termine “cellulite”, dando vita così a una nuova parola e ad un nuova modalità “mainstream” che negli anni a seguire avrebbe fatto sì che le donne americane odiassero sempre di più il proprio corpo.
Ma torniamo ancora più indietro e raccontiamo la favola di come la cellulite, sia diventata la “malattia inventata” più endemica e non trattabile di tutti i tempi. C’era una volta in Francia – o meglio in un dizionario di medicina francese – il termine «cellulite» coniato per la prima volta nel 1873 dai dottori Émile Littré e Charles-Philippe Robin. Il punto cruciale, tuttavia, è che la definizione di tale vocabolo – tra l’altro, quella originale – non aveva nulla a che fare con «fossette» o «grasso». Si trattava di «cellulitis» riferito per lo più a cellule o tessuti in uno stato di infiammazione o infezione.
La contaminazione negativa del termine (che ha fatto il salto dai libri di testo medici al lessico comune intorno alla fine del secolo) è scaturita dal fatto che in quell’epoca scienza e industria (o meglio, estetica) avanzassero entrambe ad un ritmo rapido. La professoressa Holly Grout esplora di fatto questo fenomeno all’interno del suo libro “La forza della bellezza: la trasformazione dell’idea francese di femminilità nella terza repubblica”, scrivendo che il primo dei leggendari istituti di bellezza aprì nel 1895, seguito rapidamente da molti altri. “L’incremento costante del numero di istituti prima della guerra, tuttavia, impallidisce se confrontato alla crescita meteorica dopo di essa” scrive. Inoltre, questi istituti hanno introdotto una serie di nuovi “specialisti”, assumendo estetiste, massaggiatrici e anche “medici e chimici”, scrive Grout. Qui non c’erano molti confini tra bellezza, scienza, medicina e salute. Oggi, potremmo chiamarla industria del benessere.
Anche le donne stavano attraversando una particolare fase storica: se da un lato gli uomini erano impegnati sul fronte di guerra, le donne avevano invece iniziato a liberarsi dalle grinfie dei ruoli di genere tradizionali per adattarsi al fervido clima dell’emancipazione sessuale. Sempre più donne erano diventate auto-sufficienti, assumendo posti di lavoro più remunerativi nelle industrie tradizionalmente dominate da uomini. Grout scrive: “mentre le donne entravano nelle università, nel settore terziario e nelle fabbriche come mai prima di allora, dibattiti familiari sul ruolo sociale della donna, sulla sua rilevanza politica e sul suo rapporto ambiguo con il sesso opposto acquisivano una nuova salienza”.
Dopo la guerra un nuovo archetipo della femminilità moderna iniziò a emergere: la donna era libera, aveva un nuovo ruolo sociale, liberata dalle restrizioni della classe e del galateo della vecchia scuola. Soprattutto, la donna era visibile sotto innumerevoli sfaccettature. Non è stata solo la maggiore presenza di corpi femminili nelle strade della città, nei luoghi di lavoro, ma anche l’esposizione di tali corpi nei media, nei materiali di marketing e sul palcoscenico, che insieme hanno influenzato il modo in cui le donne francesi sono state viste. Il concetto moderno di femminilità non era solamente un sottoprodotto della guerra, bensì un prodotto di “forze commerciali e culturali intrecciate al lavoro”. In sintesi: siamo nella Francia del dopoguerra, l’industria della bellezza e la medicina sono in piena espansione e tutte queste donne vanno in giro come se avessero il mondo ai loro piedi? Hanno addirittura i capelli corti e un reddito spendibile!? Patriarcato, fratelli, che diavolo faremo? Ideona! Diciamo loro come spendere quei soldi in più!
La professoressa Ghigi cita l’edizione del magazine “Votre beauté” del febbraio 1933 come il primo utilizzo del termine “cellulite” in una pubblicazione famosa. È qui che ha anche ottenuto la sua nuova definizione. L’articolo, scritto da un certo Dottor Debec, definisce la cellulite come una combinazione di “acqua, residui, tossine e grasso che formano una miscela contro cui si è male armati”. Il risultato è qualcosa di simile al grasso, tuttavia diverso dal medesimo perché sembra impossibile sbarazzarsene. Questo è – ha aggiunto – un problema “femminile”.
Perché abbia scelto questo termine, questo specifico attributo fisico su cui concentrarsi, ma soprattutto il nostro genere – le donne – non lo sapremo mai. Ad ogni modo, dalla pubblicazione dell’articolo, la maggior parte dei centri Spa francesi hanno iniziato a pubblicizzare con brama degli appositi “trattamenti” – tra cui saponi speciali, massaggi e “gomme di bellezza” – adatto a questa nuova e ignobile “condizione”.
Nel frattempo, i lettori scrissero a Votre Beauté cercando di verificare che cosa fosse la cellulite e, nel caso in cui la avessero, chiedendo come potersene sbarazzare. Fin dall’inizio, c’era poco consenso. Tra le possibili cause vi era l’utilizzo frequente di abiti attillati, cinture mal aderenti, eccesso di cibo o problemi ghiandolari. Indipendentemente da ciò, essa era sempre associata ai corpi femminili – anche se concentrata in zone piuttosto differenti da quelle che conosciamo oggi. Dal 1937 al 1939, la cellulite si spostò infatti dalla parte inferiore del corpo al collo, sta di fatto che le lamentele dei lettori, riguardavano pressappoco la presunta apparizione di una palla grassa alla base del collo. Dov’è il paradosso? Negli anni ’30, il taglio di capelli a caschetto era diventato molto popolare. Lo stereotipo “donna=capello lungo” era stato superato e ciò rendeva particolarmente fragile quella subcultura che fino a quel momento, aveva fatto sì che ogni donna si attenesse a degli standard di bellezza “femminili” e fortemente convenzionali. La donna con un taglio corto dava l’idea di libertà, indipendenza, autodeterminazione e ciò non era accettabile per i patriarchi.
Fratelli, cosa ci inventiamo stavolta? Toh, la cellulite sul collo! Non a caso, Coco Chanel aveva amplificato il look con ampie scollature e camicie in stile marinaio, le quali evidenziando ulteriormente collo e spalle, costringevano le donne a scontrarsi perennemente con le proprie insicurezze e/o presunti difetti.
Il flagello della cellulite iniziò a diffondersi al di là della Francia, inarrestabile anche per via dello scoppio di un’altra guerra mondiale. Alcuni, infatti, citano la seconda guerra mondiale come il momento in cui la lipophobia (o grassofobia) si sia veramente materializzata come atteggiamento culturale. Le nuove idee riguardanti l’aspetto femminile, che iniziarono durante la prima guerra mondiale, diventarono veri e propri standard di bellezza nel corso della seconda: la forma «a clessidra» era decisamente fuori moda, venne drasticamente sostituita da quella «tubolare» e magra. Era nuova anche l’idea che le donne dovessero tenere sotto controllo la propria forma corporea pur di attrarre gli uomini e anziché affidarsi ad un banale corsetto, iniziare a valutare l’idea di fare una dieta, il cui concetto diventò popolare parallelamente a quello di autodeterminazione. Tra gli slogan più gettonati avevamo infatti “tu sei l’artigiano della tua stessa infelicità, se inizi e fallisci una dieta”. La magrezza iniziò così ad essere considerata un obbiettivo di vitale importanza, mentre il grasso corporeo – un tempo segno di prosperità ed energia – finì per essere identificato dalla collettività come un inutile carico parassitario, indice di debolezza, pigrizia e assenza di avvenenza. Era il fallimento personale di ogni donna. Segno tangibile di questo presunto fallimento era appunto la cellulite.
“Cellulite: il grasso che non sei mai riuscita a perdere” dichiara il titolo di Vogue del 1968, introducendo le donne americane al concetto e addestrandole per il raggiungimento di modelli di bellezza irreali. L’articolo descrive una giovane donna che temeva di aver aspettato troppo a lungo per vedersi “diagnosticata” la malattia della cellulite, ma che per fortuna era stata in grado di sbarazzarsene attraverso esercizio, dieta, una “postura corretta” e sfregandosi con uno speciale mattarello.
Il mito della cellulite era diventato mainstream, così come le sue leggendarie cause e cure. E questo è rimasto. Ancora oggi le donne usano mattarelli sui loro corpi, ma il mercato è invaso da molti altri (e molto più costosi) cosiddetti trattamenti. La Federal Trade Commission (FTC) ha intrapreso con successo un’azione legale contro molti dei produttori di questi prodotti, sulla base di pubblicità falsa o ingannevole, tra cui L’Occitane, Wacoal, Rexall, QVC, Nivea – e a dir la verità qualsiasi azienda che abbia mai tentato di vendere una cura per la cellulite.
Non esiste praticamente nessun modo onesto di commercializzare una cura per la cellulite perché non esiste cura dove non vi é nulla da curare. In poche parole, ecco ciò che la cosiddetta cellulite rappresenta: sotto la tua pelle, c’è uno strato di grasso, tenuto in posizione dal tessuto fibroso, che forma una specie di rete. A volte, le cellule del grasso vengono raggruppate insieme e spinte attraverso i fori di questa. È un attributo fisico normale, altamente diffuso. Oggi il termine “cellulite” appare nella maggior parte dei dizionari, ma in realtà non è altro che una condizione utilizzata per patologizzare le donne e renderle succubi di un sistema capitalista paternalistico.

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